BIOPLASTICA

 

CENNI TEORICI

Cosa sono le bioplastiche?

Bottiglie, piatti e bicchieri usa e getta, pellicole per alimenti, sacchetti e imballaggi: la plastica è ormai onnipresente nella nostra vita quotidiana, ma è sempre più demonizzata a causa del suo alto potere inquinante (lunghi periodi di degradazione, rilascio di microplastiche, ecc). Tuttavia, grazie al veloce avanzamento della ricerca, è possibile trovare delle alternative con un minore impatto sull’ecosistema: si parla in questo caso di bioplastiche.

Secondo la definizione data dalla European bioplastic, una bioplastica si può definire bio se possiede almeno una delle seguenti caratteristiche:

  1. E’ bio-based, ovvero è composta, in tutto o in parte, da materiali che derivano dalle biomasse, quindi materiali di origine organica che non hanno subito il processo di fossilizzazione;
  2. È biodegradabile, ovvero è facilmente degradabile in presenza di determinati fattori (acqua, ossigeno, temperatura e microorganismi).

È importante specificare che biobased non è sinonimo di biodegradabile. Un materiale bio non è automaticamente biodegradabile. Perciò, sulla base di queste caratteristiche, si possono identificare 3 tipologie di bioplastiche:

  1. bioplastiche bio-based e biodegradabili. Le più comuni sono le miscele di amidi, ad esempio il MaterBi® utilizzato per la raccolta dell’umido;
  2. Bioplastiche bio-based e non biodegradabili. Ad esempio il PE e il PET biobased (utilizzati per le bottiglie in plastica ed entrambi fabbricati a partire dalla canna da zucchero) e il PA biobased (prodotto con oli vegetali). Queste materie hanno la particolarità di essere altamente resistenti a forze meccaniche e chimiche.
  3. Bioplastiche non bio-based, costituite da materie prime di origine fossile (carbone o petrolio) e Il Pbs è un polimero semicristallino fabbricato tramite la fermentazione batterica.

In genere, la maggior parte delle plastiche “tradizionali” utilizzate per gli imballaggi alimentari attualmente in circolazione non è biodegradabile; si tratta di polipropilene, polietilene, cloruro di polivinile, polistirene e polietilene tereftalato. Tuttavia, in commercio sono sempre più diffuse delle bioplastiche, sempre per gli imballaggi alimentari, che sono sia bio-based che biodegradabili.

 

Ma come si possono distinguere le plastiche tradizionali da quelle bio?

Per farlo, non è sufficiente inserire la dicitura “biodegradabile”; sulle etichette degli imballaggi sono spesso riportati loghi ed etichette specifici, i quali devono essere collegati ad un sistema di certificazione. Quando i prodotti soddisfano lo standard EN 13432 (informazione generalmente riportata sull’etichetta dell’imballaggio) sono biodegradabili e compostabili e possono tranquillamente essere smaltiti nella frazione umida; un esempio è lo shopper distribuito dai supermercati.

 

Perché sono più convenienti le bioplastiche rispetto alle plastiche tradizionali?

Il grande vantaggio dal punto di vista ecologico delle bioplastiche, rispetto alle plastiche tradizionali, è il fatto di poter essere riassorbite dagli agenti naturali, sulla terra o nell’atmosfera, in tempi molto più rapidi e con minore impatto sull’ambiente: in genere, ma ciò dipende dalla composizione chimica, una bioplastica si dissolve nell’ambiente in 4-5 anni. Inoltre, un ulteriore vantaggio delle bioplastiche è che sono più facili da riciclare rispetto alle plastiche tradizionali, in quanto richiedono dei costi minori a livello energetico.

 

Quali sono le bioplastiche maggiormente utilizzate?

Oggi la maggior parte delle bioplastiche deriva da biomassa rinnovabile, che proviene soprattutto da attività agricole o dalle industrie agroalimentari. Le principali risorse sono cerealicole (amido di mais o grano idrolizzato) o provengono dall’industria zuccheriera (canna da zucchero, barbabietola, melassa). Grazie alla sua struttura polimerica, l’amido è tra i materiali bio-based più utilizzati.

 

Cos’è la glicerina?

Gli alcoli sono derivati degli idrocarburi (composti organici) caratterizzati dal gruppo ossidrile  -OH. Gli alcoli che hanno due o più gruppi ossidrili sono detti polialcoli e, se questi gruppi sono adiacenti, vengono detti glicoli. La glicerina, o glicerolo, è un polialcol con tre gruppi alcolici adiacenti: 1,2,3-propantriolo. La glicerina è un liquido incolore, solubile in acqua, molto diffuso nelle cellule viventi sotto forma di trigliceridi, composti costituiti da una molecola di glicerolo unita, tramite legami esteri, a tre molecole di acidi grassi.

I trigliceridi sono ottenuti mediante reazione di condensazione con liberazione di tre molecole d’acqua, una per ogni catena di acido grasso. Il glicerolo, reagendo con l’acido nitrico, forma la nitroglicerina, un potente esplosivo il quale, se fatto assorbire con materiale inerte e poroso, forma la dinamite, anch’esso un esplosivo. In piccolissime dosi, però, la glicerina è utilizzata in medicina come vasodilatatore.

La glicerina è ampiamente utilizzata per la preparazione di resine, ottenute per policondensazione tra glicerolo e anidride ftalica. Non è tossica e viene utilizzata come dolcificante in prodotti dolciari, bevande, come edulcorante in preparazioni farmaceutiche e come antigelo per i radiatori delle autovetture per via del suo basso punto di congelamento.

 

Cos’è l’amido?

L’amido è un polisaccaride con formula C6H10O5 ed è costituito da due lunghe catene di molecole di D-α-(+) glucosio (o destrosio, l’enantiomero destrogiro del glucosio, più diffuso dell’enantiomero levogiro L-α-(+) glucosio, o levulosio) unite tra loro da legame glicosidico. Le due catene di glucosio possono essere lineari o ramificate: nel primo caso l’amido viene chiamato amilosio (polimero idrosolubile in acqua) nel secondo amilopectina (non idrosolubile). Sotto, a sinistra la struttura dell’amilosio e a destra l’amilopectina.

 

 

 

 

 

L’amido è il polisaccaride di riserva nelle piante che attuano la fotosintesi clorofilliana, e immagazzinato in granuli come fonte energetica nei semi, nei tuberi e nelle radici. È insolubile in acqua e alcol ed è molto abbondante in patate, mais, legumi, riso, tapioca e grano. Poiché è infatti il componente principale dei cereali e delle loro farine, può essere ottenuto da queste separandolo dal glutine con una semplice operazione meccanica, ovvero asportandolo con un getto d’acqua. Per l’amido non si può stabilire un preciso valore di massa molecolare, ma è possibile definirne un valore medio. Questo perché la sua composizione chimica e il grado di polimerizzazione possono variare nella stessa pianta e tra piante diverse. È più corretto parlare dunque di amidi e non di amido.

Industrialmente, l’amido viene estratto dai tuberi (come la patata) sotto il nome di fecola, o da semi (riso o mais). L’amido è impiegato nell’industria alimentare per la preparazione di alcool e nell’industria tessile come appretto (per dare morbidezza) e come bozzima (per dare resistenza alla lavorazione).

 

Come si può sintetizzare una bioplastica a partire dall’amido?

Quando una soluzione acquosa di amido viene disidratata per evaporazione dell’acqua, le catene di glucosio tendono a legarsi con ponti a idrogeno, formando una struttura reticolare di catene polimeriche. Poiché le ramificazioni dell’amilopectina impediscono il contatto tra le catene, ostacolando la formazione della struttura pellicolare, è necessario trattare l’amido con acido cloridrico, che destruttura l’amilopectina e permette così formazione dei legami a idrogeno.

In tal modo si ottiene un film dotato di un buon grado di cristallinità, ma fragile. Per migliorare le proprietà elastiche del film si aggiunge quindi un plastificante come, ad esempio, il glicerolo. Le lunghe molecole del plastificante si insinuano tra le catene polimeriche impedendo a queste di assumere una disposizione spaziale ordinata. Si ottiene così un materiale polimerico plastico con proprietà elastiche, facilmente lavorabile.

 

Ma qual è la funzione della glicerina e dell’acido cloridrico nella reazione?

L’acido cloridrico idrolizza le catene tridimensionali dell’amilopectina, ovvero le spezza in modo da facilitare la formazione di un film tra l’acqua e l’amido. Ma non è finita qua; per ottenere un prodotto con caratteristiche plastiche è necessario aggiungere la glicerina che, grazie ai gruppi ossidrilici, stabilisce legami ad idrogeno con l’amido e ne impedisce la disposizione ordinata, riducendo il grado di cristallinità e favorendo una struttura amorfa.

Sulla base di quanto detto, proviamo a verificare se è possibile produrre un film plastico partendo dall’amido di mais.

OBIETTIVO

Produrre un film protettivo partendo dall’amido di mais attraverso una reazione di polimerizzazione.

 

MATERIALE OCCORRENTE

  1. 25mL di acqua distillata;
  2. 3,0 g di amido di mais;
  3. 1,0 g di glicerina;
  4. 3mL di HCl 0,01M;
  5. Piastra riscaldante
  6. Colorante alimentare;
  7. Becher da 100mL;
  8. Bacchetta di vetro;
  9. Piastrina di Petri o vetrino da orologio;
  10. Cartina tornasole.

 

VALUTAZIONE DEI RISCHI

Lavorare utilizzando i dispositivi di protezione individuale quali il camice, guanti antiacido e termici, occhiali paraschizzi e mascherina. Utilizzare l’acido cloridrico sotto cappa aspirante, in quanto è particolarmente corrosivo. Fare attenzione con la piastra riscaldante perché può bruciare la pelle.

 

PROCEDIMENTO

  1. In un becher da 100mL pesare 3,0 g di amido e mescolare con 25mL di acqua distillata, aiutandosi con una bacchetta di vetro: si ottiene una miscela lattiginosa opaca. Aggiungere 1,0 g di glicerina e, con l’aiuto di una pipetta graduata, 3mL di acido cloridrico 0,01M, continuando a mescolare il tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. Posizionare il becher su una piastra riscaldante e portare a ebollizione mescolando. Durante il riscaldamento la miscela diventa più uniforme e trasparente. Lasciare bollire per circa 10 minuti a modico calore, evitando che evapori tutta l’acqua.
  2. Quando la soluzione diventa di una consistenza gelatinosa, togliere il becher dalla piastra e lasciare raffreddare parzialmente (togliere eventualmente la pellicola che si forma in superficie). Nel caso in cui si utilizzasse l’acido cloridrico 0,1M al posto dello 0,01M, aggiungere goccia a goccia una soluzione di NaOH 0,1M fino a neutralizzazione, controllando con la cartina tornasole.
  3. Aggiungere una goccia di colorante per alimenti e mescolare accuratamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  1. Versare il tutto in strato sottile su un contenitore adeguato, ad esempio su capsula di Petri in vetro o su un vetrino da orologio, e si lascia asciugare a temperatura ambiente per un paio di giorni o in stufa a 100°C per 2 ore, affinché avvenga la reazione di polimerizzazione.
  2. Una volta asciugati, rimuovere delicatamente il film di bioplastica dai supporti usati per la deposizione.
  3. Si ripetono tutti i passaggi per la preparazione della bioplastica senza il glicerolo. Il confronto tra le proprietà del film ottenuto con e senza il glicerolo è rilevante per evidenziare la funzione plasticizzante del reagente.

 

OSSERVAZIONI

Dai risultati ottenuti, è possibile constatare che il materiale ottenuto utilizzando il glicerolo come reagente possiede delle caratteristiche plastiche, poiché è elastico e deformabile. In assenza del glicerolo, invece, il materiale è rigido e fragile e, se sottoposto a deformazione, si rompe.

Un’ulteriore prova può essere effettuata ponendo in un becher un pezzo della bioplastica, ottenuta in laboratorio, con del terriccio ed esporla all’aria per alcuni giorni per osservare la biodegradabilità, magari confrontando il tutto con un pezzo di plastica normale posta alle stesse condizioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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